#07. Il lampadario della zia

Zia Elda era un portento, buona, moderna, era del 1900 e qualcosa, piena di affetto e generosità. Sapeva leggere gli occhi di chi aveva davanti, capiva quando eri preoccupato, triste o arrabbiato e aveva sempre il suo rimedio infallibile qualsiasi fosse l’ora: patate fritte, cucinate in una padella nera scassata e se non bastava allora insalata russa. Io l’ho adorata, era la mia zia super, stare con lei era il mio passatempo, ascoltare le sue avventure da ragazza era meglio di una bella serie di Netflix.

Era orgogliosa di me, ricordo un pomeriggio, aveva appena comperato un lampadario in un casalinghi gestito da un ex alpino che guidava una vecchia topolino. Era fiera di mostrarmelo, io facevo architettura all’epoca, avevo gusto, mi avvicinavo al mondo del design. Quel lampadario non era nulla di che, molto casalingo basico ma ho ammesso che era speciale. Forse ora lo sarebbe davvero. Poco male, non sempre si deve esprime la propria opinione, a volte va bene rafforzare quella degli altri, costa poco e regala belle soddisfazioni, quel lampadario non mi piaceva ma non occorreva ammetterlo.

Nel lavoro servono idee chiare, precise, visioni obiettive. Tuttavia serve anche chi le ascolta, chi ti vuole capire, serve per essere costruttivi, per evolvere. Non sempre quel lampadario è perfetto, però se non ci possono essere soluzioni diverse, allora va bene così. In quello però di zia Elda non c’era il lampadario, ma l’affetto per una donna speciale.